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LA SOTTILE LINEA ROSSA
(THE THIN RED LINE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 9 marzo 1999
 
di Terrence Malik, con Sean Penn, Nick Nolte, John Travolta, Jim Caviezel, Elias Koteas, Ben Chaplin, Woody Harrelson, John Cusack, George Clooney, John Savage (Stati Uniti, 1998)
 
Sono trascorsi venti anni da quando Terence Malick ha presentato il suo ultimo film, I GIORNI DEL CIELO. Dieci, da quando ha iniziato a pensare a questa rappresentazione del famoso sbarco degli americani a Guadalcanal e dello scontro con i giapponesi che condizionò nel 42 la guerra del Pacifico, tratto dal racconto autobiografico di James Jones, l'autore di "Da qui all'eternità". Malick aveva girato prima di allora un solo, straordinario film, BADLANDS (LA RABBIA GIOVANE) nel 1974. Prima di scomparire letteralmente dalla circolazione, alla maniera di Howard Hughes o di Stanley Kubrick in un'esistenza di riflessioni, scritture, viaggi. Un'interminabile iniziazione spirituale: che gli avrebbe permesso di affermare (come uno dei personaggi dell'INTENDENTE SANSHO di Mizoguchi, che Malick ha adattato per il teatro) di "essere invecchiato nei luoghi dove non avevo mai avuto l'intenzione di restare".

La singolarità di questo itinerario spiega la ragione del mistero che ha sempre circondato la figura dell'ex insegnante di filosofia texano divenuto autore di rari poemi visionari, il rispetto ormai mitico per un rapporto con il cinema cosi lontano dalle leggi e dalle filosofie imperanti nello spettacolo. E l'attesa per questo LA LINEA ROSSA, la sua lunghissima gestazione, la collaborazione reverenziale di decine di celebrità dello schermo, la riprese riservatissime a Port Douglas in Australia, dove per selezionare le tre ore di durata del film il regista ha girato cinquecento chilometri di pellicola, pari a cento ore di proiezione... Un'attesa che non va fraintesa: perché, all'interno degli aspetti clamorosi della sua genesi il film non è un avvenimento alla Spielberg (il confronto con SALVARE IL SOLDATO RYAN verrà purtroppo generalizzato). Ma un'opera che all'interno della sua fattura epica alla LAWRENCE D'ARABIA, del frastuono al quale associamo il film di guerra ed a quello prepotente della fiera mediatica (nomination agli Oscar, ecc.) nasconde una fonte d'ispirazione assolutamente originale, un'anima fragile e preziosa che va riconosciuta e protetta.

Contrariamente al film di Spielberg, che è innanzitutto un omaggio agli uomini che salvarono il mondo dalla barbarie nazista, LA LINEA ROSSA è certamente un film antimilitarista, e fra i più grandi. Ma la sua vera natura, la sua più commovente intimità la si scopre all'interno della denuncia della follia guerriera del maggiore Nick Nolte che invia al massacro i suoi uomini, dell'assurdità strategica o dell'ambiguità delle motivazioni che lo spingono.

LA SOTTILE LINEA ROSSA è cioè ORIZZONTI DI GLORIA. Ma è il film di Kubrick sulla follia della meccanica e la prevaricazione di una casta, più PLATOON (il confronto con il silenzio del mistero e della morte), più APOCALYPSE NOW (la guerra come spettacolo materiale che si fa abisso metafisico), più gli schemi che hanno reso esemplari i film di Hawks, di Fuller o di Walsh (l'attesa, lo sbarco, l'avanzata, la paura, il massacro, il sacrificio, la viltà, la ribellione, la sosta riparatrice nell'attesa di una nuova missione, ecc.). Più, ed è qui che il film si fa indimenticabile, TABÙ di Flaherty e Murnau, LA TERRA di Dovzenko o DELIVERANCE di Boorman. Perché la guerra di Terrence Malick è uno scontro di riflessioni piuttosto che di ordigni e di strategie demenziali. Vicino alla terra, agli animali, alla vegetazione, all'essenza biologica dell'universo che lo circonda come pochi nel cinema, l'autore di I GIORNI DEL CIELO trasforma progressivamente l'energia spaventosa di una battaglia, pur descritta con incredibile efficacia realistica, in uno stupro dell'ordine naturale delle cose. La guerra, prima fisicamente poi spiritualmente, come atto contro natura.

Dal paradiso su terra che non sappiamo apprezzare (la prima mezz'ora descrive con lirismo incantato l'incontro fra due protagonisti e la vita di un villaggio di pescatori indigeni) all'autodistruzione in un inferno di astrazione metafisica che la coscienza ha ormai rinunciato a decifrare (l'apparizione fantasmagorica dei giapponesi dalla giungla che circondano Jim Caviezel) "la sottile linea rossa" non è soltanto quella che divide la ragione dalla follia. Ma quella che, oltrepassata, permette ad un artista di far riemergere misteri arcaici ed eterni (il coccodrillo che affonda nelle primissime immagini del film; per ricomparire più tardi, imbavagliato, circondato dai soldati), di trasformare la realtà cruda ma provvisoria in significato fantastico e quindi eterno, il destino di un individuo in quello di tutti.

Avvolti nell'ipnotico commento musicale di Hans Zimmer, colti in primissimo piano e poi immersi nell'immensità cosmica di inquadrature generali, progressivamente irriconoscibili sotto i loro caschi imbrattati, nelle loro espressioni stravolte, confusi in quella natura che li accoglie nei momenti più disperati (il vento fra i canneti, il ciuffo d'erba strappato, odorato, brandito; gli ultimi soprassalti dell'uccello che traducono le agonie dalle quali la cinepresa distoglie pietosamente lo sguardo), gli attori, gli individui perdono non solo la vita, ma l'identità. Di questa moltitudine inviata al massacro ("Ma da quale seme sarà mai germinata tale follia?") non riconosceremo che una litania indistinta di riflessioni interne. Malick ha ottenuto dall'uso di uno dei procedimenti cinematografici più laboriosi da utilizzare, il commento fuori campo, dei risultati esemplari. Cosi, il contrasto fra la massa indistinta di quell'umanità inviata al supplizio e la voce, il diritto alla vita, alla coscienza del singolo individuo caricano il film di una forza sconvolgente, di una commozione poetica indimenticabile.


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